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Riscoprire gli antichi mestieri. Intrecciare cestini di salice

Cestini di salice, i vimini, e altri utensili ricavato intrecciando giovani rami di piante

“Una scena fuori dal tempo!” Questa l’esclamazione di un estemporaneo turista arrivato nel paesello nascosto tra le colline molisane, non lontano dalla Valle del Trigno, per un tranquillo fine settimana lontano dai rumori della capitale. Ai suoi occhi increduli si presentava la sagoma di un vecchio coperto da flessuosi rametti di colore purpureo che cedevano alla pressione delle sue dita dando forma ad un oggetto molto comune, presente in tutte le case ma non più fatto di fibra vegetale.

Oggi la maggior parte dei contenitori e recipienti che utilizziamo nelle nostre case sono per lo più di plastica perché  l’abitudine è quella di andare a comprare tutto ciò che ci occorre senza sapere che è ancora possibile costruire manualmente diversi utensili e  originali complementi d’arredo.

Fino a qualche tempo fa, infatti, i nostri nonni dedicavano parte del loro tempo a realizzare gli oggetti di cui avevano bisogno tanto in casa come nelle campagne e tra questi vi erano i cestini di varie dimensioni, destinati agli usi più disparati- dal più piccolo per portare il pane in tavola fino al più grande che serviva per trasportare la dote della sposa nella sua nuova casa- oltre naturalmente ai cucchiai di legno utilizzati dalle nonne in cucina.

Ma tornando all’incredulo turista, questi era convinto che gli anziani  ancora capaci di intrecciare i canestri replicassero l’antica pratica solo negli ambienti dei presepi viventi  allestiti ad hoc, dove vengono rappresentate scene di vita quotidiana ormai appartenenti al folclore, caratterizzate dal dinamismo dei mestieri artigianali oggi purtroppo in via d’estinzione. Ecco tra quei mestieri vi era quello di intrecciare ramoscelli d’olivo (Olea europea), di ginestra (Spartium junceum), di salice (Salix sp.), i giovani rami di pioppo (Populus alba) soprattutto nella stagione invernale quando il sole lontano dalla terra non permetteva di restare nei campi fino a tarda ora.

Lungo le rive del fiume Trigno e dei suoi piccoli affluenti cresceva (e cresce ancora) spontaneamente la materia prima: il salice rosso (Salix purpurea) i cui ramoscelli, i vimini, si contraddistinguono per una variazione cromatica che va dal porpora al verde.

La tecnica dell’intreccio. Una volta recisi dall’arbusto e privati delle innumerevoli foglioline verdi, venivano selezionati quelli più robusti e resistenti, che tagliati a misura a seconda dell’oggetto che si andava a ordire, costituivano il fondo (o la base) del canestro; invece i ramoscelli più sottili e flessibili venivano attorcigliati fra di loro, cedendo alla decisa pressione delle dita che davano loro la forma desiderata.

Il colore delle ceste dipendeva dai ramoscelli utilizzati che potevano essere essiccati e quindi di colore chiaro oppure freschi e perciò di colore verdastro o purpureo. I primi richiedevano un lavoro paziente e certosino che poteva essere svolto in un solo periodo dell’anno vale a dire in primavera, nei mesi di aprile e maggio, quando dopo essere stati recisi venivano scorticati con l’ausilio di un ramoscello più robusto precedentemente inciso verticalmente. Il rametto da scorticare veniva fatto scivolare all’interno della fessura  di quello più massiccio avendo l’accortezza di far combaciare con la pressione delle dita i due lembi di quest’ultimo. Dopo aver sbucciato i rametti si proseguiva sempre manualmente al loro intreccio nel più breve tempo possibile oppure si procedeva alla loro essicazione al sole per poter conservarli a lungo. All’occorrenza, per lo più nella stagione invernale, prima di utilizzarli bisognava immergerli in acqua per almeno un’ora affinché riacquistassero la flessibilità originaria che permetteva di piegarli varie volte senza correre il rischio di spezzarli.

Relativamente più rapida invece la lavorazione dei ramoscelli freschi che potevano essere recisi ed utilizzati in ogni periodo dell’anno prestando però attenzione al ciclo lunare ed approfittando della fase calante per evitare che marcissero col passare del tempo. Dopo essere stati tagliati e privati delle foglioline, venivano intrecciati nel minor tempo possibile poiché la disidratazione li rende meno pieghevoli e pertanto più inclini a spezzarsi. La differenza tra l’utilizzo dei ramoscelli secchi e quelli freschi si può apprezzare a prodotto finito: un canestro elegante e delicato  intrecciando i primi oppure grezzo e rustico intessendo i secondi. Naturalmente il lavoro viene svolto solo ed esclusivamente a mano con l’ausilio di un coltellino e un paio di cesoie.  

Tra i manufatti più caratteristici e duraturi ricordiamo le ceste per raccogliere i funghi e la frutta, la fiscella per dare la forma al formaggio fatto in casa e per  scolare il siero  e ancora quelle per rivestire bottiglie, fiaschi e damigiane.

L’intreccio della paglia. Altri prodotti dell’arte dell’intreccio erano le paiol e le paiulell[1], canestri a sponde alte intessuti con la paglia del grano che venivano realizzate  ed utilizzate dalle massaie come panieri e come recipienti per i viveri.

La paiol era una cesta rotonda di grande dimensioni che aveva molteplici scopi: si utilizzava per far lievitare l’impasto di farina, acqua e lievito, per conservare il pane appena sfornato dal forno a legna e per trasportare le vivande da casa fino ai campi, dove venivano consumate tra un’attività e l’altra.

Le paiulell erano sempre a forma rotonda, ma di dimensioni più ridotte e servivano a far lievitare per la seconda volta la pasta di pane ottenuta dalla ripartizione dell’impasto già in parte lievitato nella paiol. Oggi il pane si compra al supermercato oppure dal fornaio, ma in alcune case possiamo ancora trovare questo cimelio di paglia di grano appeso al chiodo, ereditato dalle nonne o scovato in un mercatino dell’artigianato.

Cestini di salice

Approfondimenti botanici: tra le specie di salici che si prestano particolarmente all’intreccio dei cesti troviamo il salice rosso (Salix purpurea) e il salice da ceste (Salix viminalis).

Il salice rosso è un arbusto spontaneo che può raggiungere un’altezza di 5-6 metri, vegeta nelle aree di bosco umido e presso il greto di fiumi, torrenti e ruscelli a quote comprese tra 0 e 1.000 metri. Il fusto è ricoperto da una corteccia di colore grigio, liscia negli esemplari giovani, poi irregolarmente screpolata, verde chiara o gialla all’interno delle screpolature. I rami giovani sono piuttosto sottili e fragili, prima rosso-bruni, poi giallo-grigiastri.

Il salice da ceste vegeta sui terreni umidi fino a 500 metri sul livello del mare, è un arbusto o piccolo albero che può raggiungere i 10 metri di altezza. I rami sono inizialmente brunastri e tomentosi, per poi divenire lisci intorno ai 2 anni. Come indica il nome, il Salice da vimini viene utilizzato da secoli per produrre oggetti in vimini. I suoi rami vengono utilizzati come tutori nell’orto o in giardino. Tuttora la pianta viene coltivata nei vigneti e posta alla fine dei singoli filari per poter impiegare i suoi rami nella legatura delle viti. Nei lavori forestali non è raro veder utilizzare la pianta per consolidare terreni fluviali, lungo canali o sugli argini dei fiumi.


[1]  Termini dialettali utilizzati a San Felice del Molise per indicare rispettivamente il paniere di dimensioni più grandi  e quelli più piccoli che servono a contenere e dare la forma della pagnotta alla pasta di pane prima di cucinarla nel forno a legna.

Articolo e foto di: Nicoletta Radatta

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